Notizie sulla vita degli antichi egizi ci sono giunte dai rilievi e dai dipinti delle tombe, da manufatti che costituiscono i corredi funebri, da tracce del perimetro e delle fondamenta di poche abitazioni private e dai numerosi testi sapienziali. Gli appartenenti alle classi più povere, i contadini, abitavano in capanne di canne e fango, situate sugli stessi terreni che avevano il compito di coltivare. Nei villaggi e nelle città le case comuni, ma anche le ricche ville della nobiltà, erano di mattoni crudi seccati al sole, ottenuti mescolando argilla e paglia. La pietra da costruzione era usata solo per i grandi edifici monumentali, per i templi, le tombe, le "case" del faraone e degli alti dignitari di corte. Le abitazioni ad un solo piano degli artigiani erano di solito costituite da poche stanze che comprendevano un laboratorio, un magazzino e una cucina a cielo aperto. Le ville signorili avevano invece numerosi locali, divisi in due parti ben distinte: c’era la zona di rappresentanza, ricca e sfarzosa, con pareti dipinte e pavimenti istoriati e la zona destinata alla vita domestica, con stanze padronali e quartieri della servitù. Al complesso abitativo si aggiungevano le cucine, le stalle, i magazzini e i granai, i cortili di disimpegno e la cisterna. Poiché in Egitto la vita si svolgeva in gran parte all’aperto, l’arredamento delle abitazioni era improntato a criteri di grande semplicità. Le case più modeste avevano mensole, scaffali, nicchie scavate nei muri e suppellettili in giunco, canna o tessuto; quelle dei ricchi erano arredate con bauli di legno intarsiato, cofani scolpiti, sgabelli e sedie a braccioli, letti con poggiatesta e rete di giunchi. L’alimentazione si basava sui cereali e quasi sempre il pasto dei poveri si limitava ad una farinata d’orzo o ad una zuppa di farro o miglio, condita con qualche verdura bollita, specialmente lattuga, offerta anche ai defunti. Nei palazzi si consumavano forme coniche di pane lievitato, arrosti di oche e di carne di bue, stufati di cacciagione, pesci insaporiti con i più svariati tipi di salse, dolci al miele arricchiti di datteri, carrube, uvetta. Bevanda nazionale era la birra, ottenuta dalla fermentazione dell’orzo e del farro; molto apprezzato era il vino e l’inebriante shedeh ricavato dal succo di melograno. Fino al Nuovo Regno l’abbigliamento, sia maschile sia femminile, subì poche trasformazioni e fu improntato a criteri di praticità e ad esigenze climatiche. La veste femminile era una tunica aderente lunga fino alle caviglie, sostenuta da due ampie bretelle; l’abito maschile consisteva in un semplice perizoma drappeggiato sul davanti con una piega a forma di triangolo. Il colore predominante era il bianco naturale del lino e del cotone, i tessuti più diffusi. Un semplice mantello rettangolare di lana tessuta, annodato sul petto, difendeva ricchi e poveri dalle rigide temperature notturne. Dalla IV dinastia si diffuse tra le classi agiate l’uso di tuniche dai colori diversi e dalle forme anche molto complicate nelle varianti maschile e femminile: pieghettate e arricciate, ornate di bordi e intessute di fili d’oro, strette in vita da una fascia o annodate alle spalle con fantasia. Ai piedi si calzavano abitualmente sandali, ma anche babbucce di cuoio ricamato di derivazione ittita. Entrambi i sessi si acconciavano con parrucche colorate e si adornavano di gioielli; profumi e cosmetici, specialmente quelli per gli occhi, erano molto diffusi. Le classi inferiori avevano poche occasioni di divertimento, se si escludono le grandi cerimonie pubbliche e religiose, attorno alle quali si radunavano giocolieri, acrobati, narratori di storie e lottatori. I nobili praticavano nel deserto la caccia con i cani, a piedi o sul cocchio, servendosi delle bolas, dell’arco e del bastone da lancio (una specie di boomerang); la preda più ambita era il leone, che era però riservata alla maestà del faraone. Nelle paludi si svolgeva la pericolosa caccia all’ippopotamo che, indebolito dalle punte degli arpioni lanciati dalle barche, veniva finito a colpi di ascia. Sport meno impegnativi erano la caccia nel canneto agli uccelli acquatici e la pesca nelle paludi. Gli egizi di tutti gli strati sociali si appassionavano ai "giochi da tavolo", il più antico dei quali era la senet, una specie di dama che si giocava su una scacchiera rettangolare con pedine di diversa forma e colore. Per i ragazzi (ma non per le ragazze) la vita quotidiana comprendeva anche molte ore di studio da passare presso le scuole del tempio. Primo compito dello studente era imparare a leggere e a scrivere; fondamentale era l’apprendimento della matematica che trovava applicazione, oltre che nell’amministrazione statale, in numerose professioni libere (ingegnere, agronomo, pittore, medico). Tra le lingue straniere, ci si indirizzava di preferenza verso lo studio dell’accadico, lingua diplomatica dell’epoca. Un corso completo di studi durava in genere una decina di anni e apriva la carriera nella burocrazia a vari livelli.